C’è una sensazione precisa che si prova quando si diventa genitori, una sensazione che dovrebbe avere un nome, ma un nome non ce l’ha.
È un’emozione contrastante che si prova di fronte alle piccole o grandi difficoltà con le quali, inevitabilmente, prima o poi ci si ritrova a fare i conti.
Immagina: fino a poco tempo prima dovevi rispondere solo di te, delle tue parole, delle tue azioni, delle tue eventuali mancanze. Poi, all’improvviso, ti viene conferita la totale responsabilità di un altro essere che, oltretutto, all’inizio nemmeno conosci. Chi l’ha mai visto? Cosa significa quell’espressione? E poi perché continua a piangere?
Certo, nulla di nuovo. L’hanno fatto i tuoi genitori con te, i tuoi nonni con loro e via dicendo. È qualcosa di estremamente naturale, dovrai solo fidarti del tuo istinto, giusto?
Nì. A volte l’istinto sarà il tuo migliore amico, a volte non basterà. Dunque, semplicemente, ci provi. Procedi per tentativi ed errori e ci provi. A volte ci prenderai, a volte sarà un disastro. Ma tu continui a provarci e, in un modo o nell’altro, aiuti quella creatura a crescere.
La sensazione di cui parlo è questa: è il fatto, un bel giorno, di accantonare le difficoltà, la stanchezza e la frustrazione – immancabili compagne di viaggio anche dei genitori più preparati – e di abbracciare tuo figlio, pensando: “non importa, perché nulla è davvero così importante in fondo. Tu pensa solo a salvarti, che a tutto il resto una soluzione c’è”.
Ecco, parlo di questa cosa qua. Di questo caricarsi le spalle di problemi, di cose da fare, da pianificare, da aggiustare e di pensare di non poter reggere nemmeno uno spillo in più. E poi, in un abbraccio, di scaricare con un bel tonfo tutto questo peso a terra, di fronte al suo sguardo e alla consapevolezza che, in fondo, nulla di tutto questo è davvero importante.
Dunque gioca, corri, salta, mettiti anche un po’ nei guai se vuoi, ma salvati, bimbo mio. Che a tutto il resto una soluzione in qualche modo la si trova. Sempre.
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