Era sera e, dopo settimane di un caldo umido, afoso e insopportabile, l’aria all’improvviso cambiò. Si fece più fresca, quasi frizzante e il vento prese a soffiare come non faceva ormai da mesi.
Anche io, proprio come il meteo, mi sentivo diversa. Potevo percepire un cambiamento in corso, così come si potrebbe indovinare, semplicemente annusando l’aria, un acquazzone in arrivo.
Così mi sono alzata, ho mosso qualche passo e ne ho avuto la conferma: stava arrivando il momento. Stavi arrivando tu.
Con il profondo rispetto della lentezza che solo il secondo parto può dare, ho cominciato a lavarmi, a vestirmi e a preparare le ultime cose intorno a me. Mi stavo preparando ad un incontro molto importante e volevo che tutto fosse in ordine.
Sono uscita di casa con il tuo papà e fuori il vento ci ha soffiato addosso gocce di pioggia fredda, infischiandosene dei 40 gradi di qualche ora prima.
All’ospedale ci hanno detto che avrei passato la notte lì, così siamo rimaste sole. Papà è dovuto tornare a casa, in virtù di norme sanitarie che sembravano dimenticate ormai ovunque, ma che, evidentemente, non erano ancora riuscite ad oltrepassare quelle spesse mura.
È stata una notte lunga, con risvegli frequenti e piccoli sonni ristoratori. È stata una notte di solitudine: in quella stanza c’eravamo solo noi e un campanello, da suonare in caso di necessità. Ma è stata anche una notte di profondo ascolto, di consapevole accettazione e di serena attesa. Ero sola, ma non lo ero, così come può esserlo solo una donna che sta per dare alla luce il suo bambino. Conoscevo a memoria ogni tuo movimento, ogni tuo sussulto e questo mi bastava per avere la certezza che tutto stesse andando per il verso giusto, che tu stessi bene.
Poi ho riconosciuto il momento. Ho suonato quel campanello e ho inviato un veloce messaggio al tuo papà: “ci siamo”.
Lui non è mai arrivato in tempo: burocrazia, tamponi e attese inspiegabili gliel’hanno impedito. Ma forse proprio il fatto che fossimo solo io e te ha reso tutto incredibilmente intimo, silenzioso, istintivo, così come ancora oggi, a distanza di un anno, sento che è il mio rapporto con te.
Non avevamo voluto sapere il tuo sesso e l’ostetrica che ti ha appoggiata sul mio petto ci ha presentate con uno scherzoso “ecco il tuo bambino!”; così per una manciata di secondi ho anche pensato che fossi un maschio e che (maledizione!) io e il tuo papà non avevamo ancora scelto un nome per te… Ma poi ho capito che eri tu, che eri Olivia e che, fortunatamente, almeno le presentazioni potevamo farle subito.
Ho passato i due giorni successivi ad inebriarmi del tuo odore e ad accarezzarti i capelli. Oggi, a distanza di un anno, faccio lo stesso: la tua pelle è sempre il mio profumo preferito e i tuoi ricci, che nel frattempo si sono fatti biondi, sono sempre tra le mie dita. Le tue manine afferrano tutto ciò che desiderano e le tue gambe stanno imparando a portarti sempre un po’ più lontano da me.
Chissà, forse queste mie parole ti suoneranno strane, forse un giorno riuscirai a capirle davvero, ma la verità è che ancora oggi, dopo 12 mesi, a volte mi capita di stupirmi, guardandoti. Perché tu, bambina mia, sei un mistero che mi sembra di conoscere da sempre 🌱
Buon primo anno di vita, bimba nostra. Sei capitata in una famiglia forse poco ordinaria (sempre ammesso che le famiglie “ordinarie” esistano), ma una cosa è certo: ti si ama immensamente ❤️
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