Prenderli sul serio. Che poi alla fine è tutto qui. Connetterci alle loro emozioni e dare un significato alle loro reazioni che, di solito, ci appaiono così spropositate, così infantili, appunto.
In fondo, la chiave è tutta nel punto di vista. Dobbiamo abbassarci, fisicamente, metterci alla loro altezza e provare ad osservare il mondo da lì. E sembrerà un’assurdità, ma è davvero sorprendente: da laggiù, le cose si vedono in maniera diversa. Il mondo degli adulti è così in alto, territorio dell’astratto, scandito da tempi lunghissimi e divieti inspiegabili. Ma il mondo là sotto, il mondo dei bambini, è istinto, velocità, pensiero e azione che si toccano e, più spesso, si fondono.
Ripensiamo alle immagini più remote della nostra infanzia: proviamo a farlo davvero, per una manciata di secondi. Cosa ricordiamo? Probabilmente un dettaglio. Un oggetto, un giocattolo. Il particolare di un quadro, il bottone di una giacca. Ma non è tutto lì. Il mondo della nostra infanzia era inevitabilmente legato alle nostre sensazioni, alle emozioni provate osservando le cose. E le emozioni erano così intense, così incredibilmente forti, da travolgere noi e tutto ciò che si trovava attorno a noi.
E se ci pensiamo, crescere, da questo punto di vista, non è altro che un lento imparare a relativizzare. Gli assoluti della nostra infanzia, lentamente, sfumano i loro contorni; così impariamo che -sorpresa!- non esiste nulla di assolutamente bello, brutto, buono o cattivo, ma che più spesso questi aggettivi possono tranquillamente convivere tutti insieme. E che la realtà, in fondo, è proprio un gran casino.
Ma questo lo impariamo dopo, questo lo sappiamo noi: loro non lo hanno ancora scoperto. Dunque non ci resta che prenderli sul serio, perché in fondo è questo che loro fanno con tutto ciò che li circonda ed è questo che chiedono a noi. Cambiare la prospettiva, abbassarci ed accogliere le loro spropositate emozioni. Non necessariamente capire, quello no. Solo accogliere.
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